BIR ZAMANLAR nel Museo dell’Innocenza

Il mese scorso sono venuti a trovarci due cari amici, Anna Rita e Filippo. Ci siamo conosciuti nel lontano 2012 qui ad Istanbul, dieci anni fa noi eravamo agli inizi della nostra avventura, avevamo da poco aperto l’agenzia, Anna Rita e Filippo tornavano per la prima volta a Istanbul dopo molto tempo ed in quell’occasione ci hanno chiesto via mail di accompagnarli in un paio di visite guidate. Quel viaggio ha risvegliato in loro l’interesse per Istanbul, tanto che da quel momento sono tornati quasi tutti gli anni a trovarci.

E’ stato bello incontrarsi a cadenze regolari e raccontarci di noi, loro ci hanno visto crescere e noi abbiamo visto sbocciare soprattutto in Anna Rita una profonda passione, per la città in primo luogo ed in particolare per un’opera del grande scrittore turco Orhan Pamuk: il Museo dell’Innocenza. Da quando è stato inaugurato il vero e proprio Museo a Çukurcuma, Anna Rita ci ha descritto i suoi continui pellegrinaggi, le sue visite al museo avevano ed hanno quasi un carattere sacrale. Ha saputo navigare all’interno di un’ossessione trasformandola in energia creativa.

Qualche anno fa ci ha confidato quasi sotto voce che aveva cominciato a scrivere un libro, oggi quel libro edito da il canneto editore è fra le nostre mani e lo consigliamo vivamente a tutti, non solo agli amanti di Istanbul ma anche e forse soprattutto a chi Istanbul ancora non la conosce. E’ un romanzo vero, che trasuda amore. E’ un onore per noi figurare fra i ringraziamenti finali e addirittura fare la comparsa all’interno del libro come personaggi.

Abbiamo approfittato del nostro incontro per fare un’intervista ad Anna Rita, per parlare in maniera più approfondita del suo romanzo:

Intervista ad Anna Rita Severini

Questo è il tuo primo romanzo. Perché Istanbul e perché il Museo dell’Innocenza?

Per molti anni ho scritto testi legati al mio lavoro nel Museo delle Genti d’Abruzzo a Pescara. Si è trattato di studi sulla cultura materiale agro-pastorale, soprattutto abruzzese, e sulla catalogazione e valorizzazione delle raccolte etnografiche negli allestimenti di musei. BIR ZAMANLAR è dunque la mia prima pubblicazione di carattere non scientifico, ma creativo.

L’esperienza consolidata a contatto con oggetti di vita quotidiana del passato e con il loro contenuto di saperi tecnici e storie di vita ha costituito un presupposto determinante, ma forse non avrei mai pensato di cimentarmi in una simile impresa se non fossi tornata a Istanbul nel 2010 e soprattutto se non mi fossi appassionata all’originale progetto letterario-museale del premio Nobel Orhan Pamuk.

Il Museo dell’Innocenza. Un romanzo da leggere come un museo, un museo in cui muoversi come in un romanzo. E tutti e due concepiti in parallelo, fatti crescere in perfetta simbiosi per più di dieci anni tra la fine del Novecento e il primo decennio di questo nuovo secolo. Come potevo resistere a una simile tentazione? La curiosità iniziale ha lentamente ceduto il passo a un interesse sempre più puntuale e infine a una vera passione.

Ed è stato così che hai pensato di scrivere una storia tua ispirata a questi temi?

Inizialmente mi sono lasciata conquistare dal romanzo, letto nel 2010, e insieme dalla riscoperta di Istanbul che proprio quell’anno era Capitale Europea della Cultura. La città, che avevo visitato la prima volta nel 1988 con mio marito Filippo (lui vi si era già fermato nel 1973 e nel 1975 durante due viaggi via terra verso l’India), mi si è presentata tanto diversa, per molti aspetti migliorata e più accogliente.

Da allora ho desiderato essere lì tutte le volte che ho potuto, sia per poter finalmente “toccare con mano” il museo di Pamuk, aperto nel 2012 a quattro anni dalla pubblicazione del romanzo, sia per ritrovare ad ogni ritorno luoghi e atmosfere della città che potevo riconoscere e scoprirne altri del tutto nuovi. E sin dall’inaugurazione, non ho mai mancato di addentrarmi fra le vie sinuose di Çukurcuma, fra case dai bovindi affacciati in fila sulla strada e negozi di antiquari e rigattieri, per giungere davanti al portoncino rosso del mio amato museo. È stato grazie a queste frequentazioni cariche di curiosità e affetto crescente che ha iniziato a prendere forma in me l’idea di scrivere qualcosa di mio.

Quindi, hai visitato Istanbul molte volte in questi anni. Quali sono le tue impressioni sulla città? Sono cambiate nel tempo e se sì, in che senso?

Certo, il primo approccio è stato quello tipico del turista italiano che approda in una grande realtà urbana con una storia nobile e il fascino indubbio della tradizione ottomana. Un po’ di folklore e tanti aspetti “esotici”. Poi, in oltre dieci anni di soggiorni, ho affinato il mio sguardo. Le prime risorse su cui ho potuto contare in questo percorso sono state la lettura di “Costantinopoli” di Edmondo De Amicis e “Istanbul” di Orhan Pamuk, autobiografia intrecciata a intense personali visioni della città, e poi gli itinerari a piedi guidati da voi giovani di Scoprire Istanbul lungo quartieri allora poco battuti dal turismo di massa come Fatih, Balat, Fener, e Üsküdar e Kadiköy.

Da lì in avanti ho cominciato a guardarmi intorno, uscendo dal seducente involucro dei monumenti identitari (Santa Sofia, la Moschea Blu, la Torre e il ponte di Galata, ecc.) per girovagare in altre zone lungo le coste del Corno d’Oro, del Mar di Marmara e del Bosforo, nei quartieri oltre Piazza Taksim e fra questa e Galata, sulla sponda asiatica, nei grandi parchi e dovunque ho potuto.

Le impressioni iniziali si sono modificate e arricchite, facendo i conti con situazioni contrastanti di bellezza e abbandono, di conservazione e dinamismo, di complessità ed essenzialità. Insomma, parliamo di una metropoli impossibile, credo, da indagare fino in fondo nella sua natura multiforme, soprattutto per chi non può avventurarsi nelle sconfinate periferie.

Naturalmente, a tutto questo si aggiungono i rapidi mutamenti degli ultimi dieci-quindici anni in tanti quartieri: nuove costruzioni, abbattimenti, modifiche strutturali importanti che richiedono attenzione e invitano a riflettere anche chi è ospite in transito. Le mie impressioni sono cambiate anche perché è la città a essere cambiata. Tutto sommato, Istanbul mi ha lentamente conquistato proprio con il suo essere sempre sé stessa e sempre differente.

Nel romanzo Istanbul è molto presente, alcuni quartieri in particolare. Come hai immaginato questa presenza e come l’hai costruita?

Il mio stare a Istanbul, come accennavo, è stato determinante per la graduale costruzione del romanzo. Nei giorni di permanenza ho stilato diari di viaggio e ho scattato moltissime foto. Questo mi ha aiutato a recuperare nella memoria, a distanza di anni, alcune situazioni che volevo inserire nella storia e che altrimenti mi sarebbero sfuggite. La presenza della città, di certi suoi spazi, delle persone che la popolano, nel mio testo è frutto delle emozioni suscitate in me dai passaggi lungo le strade, nei musei, nei bazar, negli antichi han, nelle moschee, sui battelli.

Luoghi percorsi in stagioni e orari diversi, sotto il sole o coperti di neve, mi hanno consegnato immagini di Istanbul difficili da lasciar scorrere senza riceverne sempre qualcosa. Tutto questo si è mescolato alle letture dei romanzi di Pamuk e di altri autori turchi e, infine, alle suggestioni avute dalle vicende dei protagonisti de “Il Museo dell’Innocenza” che mi hanno inesorabilmente legato a certi quartieri: Çukurcuma, Nişantaşı, Fatih.

E come vivono la città i tuoi personaggi?

In qualche modo, sono loro il mio occhio sulla città. È stato intrigante raccontare la mia Istanbul attraverso le percezioni ed esperienze di ognuno. C’è chi è di casa, chi la scopre per la prima volta, chi la ritrova dopo anni. Ciò implica che lo sguardo sia parziale, ovviamente, e che lo sia anche dal punto di vista temporale.

La storia si svolge nelle sue fasi salienti in un arco di tempo limitato – dieci giorni dell’aprile 2011 – ma rimanda a fatti precedenti di qualche decennio e si sviluppa in tempi successivi fino al 2018.

Alcuni contesti vengono quindi vissuti dai personaggi come è stato per me fra il 2011 e il 2012, ma poi nella realtà si sono modificati spesso in modo radicale e repentino.

Allora ho voluto descriverli per lasciare di proposito una modesta traccia di ciò che era prima delle trasformazioni di questi ultimi anni. Penso ad esempio al mercato ittico di Karaköy, alle sue taverne e all’area attigua sulla riva del Corno d’Oro con i tavolini e le panchine; a Piazza Taksim senza la grande moschea di recente costruzione, alla salita di Çukurcuma priva di marciapiedi, alla panchina su Divan Yolu con la poesia di Orhan Veli Kanık.

Il rapporto col museo è un tema fondante. Come si è sviluppato?

Lo è senz’altro. In realtà l’affezione per il Museo dell’Innocenza è cresciuta di pari passo con quella per Istanbul. Ho letto il romanzo di Pamuk e il catalogo del museo più volte, ne ho studiato i dettagli. Ho trascorso due anni nell’attesa di entrare in un luogo fino ad allora misterioso che prometteva ai lettori di accedere alla versione tangibile di una storia inventata, insomma di potersi immergere nella mirabile commistione di realtà e finzione creata dallo scrittore.

Poi il primo ingresso nel dicembre del 2012, le visite successive pressoché annuali fino al gennaio del 2020, le donazioni di oggetti e foto legati ai contenuti museali, i colloqui con i direttori, gli appunti presi ad ogni passaggio, il tempo trascorso in quello spazio a cogliere stati d’animo sempre nuovi, le letture, la partecipazione a convegni sul tema, i confronti con studiosi e artisti interessati al museo. Ora, a quasi dieci anni dall’inizio di questa avventura, posso dire di aver accumulato un po’ alla volta un bagaglio di nozioni e di sentimenti che non permetteva distrazioni. Infatti, la prima idea di comporre una storia nuova nel museo e per il museo risale più o meno al 2013, dopo la redazione di un breve racconto nel 2012.

Il Museo è al centro della storia. O meglio ne è il centro.

Sì. Se c’è qualcosa che mi è stato chiaro sin dall’inizio, questo è il desiderio di far incontrare fra le sue mura nuovi personaggi, di intrecciare lì le loro esistenze, per coincidenza o per fatalità, e permettere che tali incontri richiamassero dal passato frammenti di vita in grado di cambiare i loro destini.

E volevo che tutto accadesse in pochi giorni, quando il museo non era ancora aperto al pubblico, dunque in una dimensione intima, nascosta al mondo, quasi sospesa fra i progetti, le aspirazioni e i sogni di chi ci stava lavorando. Ho immaginato gli spazi in allestimento, i depositi, gli oggetti ancora da esporre, come non potevo vederli dietro le porte e finestre rimaste chiuse fino al 27 aprile 2012.

Gli oggetti del romanzo di Pamuk sono legati fra loro da una storia d’amore. Di questa finzione letteraria portano con sé il ricordo di attimi felici o dolorosi, ma raccontano qualcosa anche della vita reale di chi ha abitato la città. Dunque, mi sono detta che poteva accogliere ancora altre storie, quelle dei miei personaggi – chi residente a Istanbul e chi arrivato dall’Italia – coinvolti in una dinamica inaspettata e sorprendente in un luogo che a vario titolo aveva suscitato in loro interesse e passione.

Puoi darci qualche cenno sulla trama?

Nell’aprile del 2011 due donne italiane si incontrano casualmente nel Museo dell’Innocenza e fanno amicizia. Denise è una giovane antropologa museale che dovrà occuparsi a titolo volontario della schedatura di alcuni pezzi da esporre. Irene, più matura, è giunta in città dopo aver letto il romanzo dello scrittore turco, spinta dal desiderio di entrare nel museo e di conoscerne l’autore. Tutte e due vengono a contatto con Deniz, collezionista e poeta che collabora con Pamuk ai lavori conclusivi di allestimento. Gli incontri, le conversazioni, i giri in città ci fanno partecipi del loro diverso approccio all’opera di Pamuk ancora in gestazione, delle loro emozioni, ma ci danno notizie anche sul loro passato e su altre persone che ne fanno parte, in particolare Pietro e Hayat, due giovani innamoratisi nella città turca alla fine degli anni Sessanta.

Maia, italiana vissuta a Istanbul sin dall’infanzia e cara amica di Hayat, dopo il pensionamento dal suo lavoro di bibliotecaria presso il Liceo Italiano, si troverà coinvolta, suo malgrado, nella ricostruzione di fatti che appartengono a quel passato, farà scoperte importanti in una sorta di indagine del tutto imprevista e alla fine capirà di avere fra le mani una bella storia da raccontare.

È una storia che parla di amore per i musei in cui si narrano vite, di amore filiale e fraterno, di amore per una città speciale come Istanbul e di amore fra donne e uomini che a Istanbul un giorno si sono incontrati.

Come vedi il tuo romanzo in rapporto alla realtà del museo ormai funzionante da anni? Pensi che possa arricchire i suoi contenuti?

Qualche anno fa il direttore in carica mi fece notare che il mio sarebbe stato il primo romanzo dedicato al Museo dell’Innocenza, portando alle stelle le mie ambizioni. Allora non immaginavo che il manoscritto sarebbe stato pubblicato, ma sapevo benissimo che l’opera di Pamuk aveva già attirato l’interesse di vari specialisti e artisti. Erano stati organizzati sul tema convegni, mostre e presentazioni, era stato girato un film con il regista inglese Grant Gee (“Innocence of memories” nel 2015, anche in versione italiana), erano nati progetti artistici dedicati (“Words and stars” nel 2017 con l’italiana Grazia Toderi). Ma nessuno aveva scritto un romanzo. Mi sono sentita incoraggiata.

Tuttavia, le altre iniziative erano sempre state realizzate in collaborazione con lo scrittore. Io, invece, mi stavo introducendo nella sua opera per farne il set di una storia nuova a sua insaputa, e questo mi intimoriva un po’. Ma sono andata avanti, per circa dieci anni, e ho raggiunto il mio obiettivo.

Mi rendo conto che sin dall’inizio, già con le prime donazioni, ho seguito un’istintiva aspirazione ad essere presente nella storia del museo, a distinguermi dagli altri ospiti e forse un giorno diventarne parte attiva. Credo che BIR ZAMANLAR e il lungo impegno che mi ha richiesto siano un passo in tale direzione. Già diversi lettori dicono che il mio testo ha suscitato in loro il desiderio di visitare Istanbul e di conoscere il Museo dell’Innocenza. Ne sono felice.

Spero che un giorno si possa editare il libro in turco o in inglese. E chissà che non ne possa nascere un vero progetto in grado di arricchire i contenuti del museo. In fondo, la scrittura e l’arte di Pamuk hanno finora mostrato una straordinaria capacità di generare idee e opere nuove.

Del resto, Pamuk ha già mostrato una sua attenzione verso il tuo romanzo.

In effetti, pur non potendo leggere il testo, eccetto la sinossi tradotta in inglese, e non avendo avuto con me contatti diretti se non in occasione di qualche evento italiano in suo onore, lo scrittore ha saputo delle mie frequenti visite al museo, delle donazioni e infine anche della pubblicazione di BIR ZAMANLAR. Credo abbia apprezzato una così tenace devozione nei confronti della sua creatura. La frase donata a Il Canneto Editore e a me per la quarta di copertina ci ha davvero onorato:

“Anna Rita Severini ha inseguito lo sviluppo del Museo dell’Innocenza con la stessa passione con cui Kemal ha inseguito Füsun”.

Orhan Pamuk, Premio Nobel per la Letteratura 2006

 

Anna Rita Severini*
BIR ZAMANLAR nel Museo dell’Innocenza
Il Canneto Editore, 2021

Il libro è stato già presentato a:
Pescara, Libreria Primo Moroni, 12 febbraio 2022
Milano, Book Pride 2022, 5 marzo 2022
Pescara, Museo delle Genti d’Abruzzo, 18 marzo 2022
Genova, Foyer del Teatro Nazionale, 5 aprile 2022
Francavilla al Mare, Palazzo Sirena, 13 maggio 2022
Rovereto, Libreria Arcadia, 17 maggio 2022

*L’autrice è stata fino al 2017 Responsabile del Servizio Attività Culturali e Turistiche del Comune di Pescara. Le sue esperienze di studio e di lavoro più significative, avviatesi fra il 1981 e il 2000 nel Museo delle Genti d’Abruzzo, riguardano il settore dell’antropologia museale e della cultura materiale tradizionale. Ha un’approfondita conoscenza diretta del Museo dell’Innocenza, realizzato a Istanbul da Orhan Pamuk. Figura tra i donatori e nella guest list del museo, con cui ha contatti regolari e che ha studiato sin dall’inaugurazione nel 2012.


Rosso Istanbul di Ferzan Özpetek, il film e il libro

“Dopo Istanbul ho amato molti mari. […] Ma il mare che porto dentro, come un sasso levigato dall’acqua e raccolto sulla riva, è quello della mia adolescenza. E’ il Mar di Marmara. Uscivo di casa, con l’asciugamano al collo, attraversavo il giardino e andavo al mare a piedi. C’era una piccola baia dove potevamo noleggiare le barche a remi. C’erano i quattro ragazzi che affittavano le barche: il venditore di köfte, le polpette di carne. E c’era lui, Yusuf”.

Un ritorno che si fa ricordo. Il regista, protagonista di queste pagine, viaggia verso la sua Istanbul, per ritrovare in essa le suggestioni di un tempo. Una città che non rinuncia ad essere la Città, dove i destini si intrecciano e il rosso è più di un colore. Ferzan Ozpetek ci racconta dei luoghi della sua infanzia e di una madre che ripensa “bellissima e malinconica. […] con i suoi segreti e le sue lacrime” e che si presenta ora con il suo “sguardo troppo lontano, il passo incerto, le mani deboli e fragili, e quello smalto scarlatto”.

I ricordi si modificano come i luoghi e le persone, ma i colori rimangono vivi e si fanno riconoscere, come il rosso e il blu di certi tramonti sul Bosforo o come il rosso intenso e vivo del succo di melograno. Ritornare è ripercorrere le strade di un tempo e respirare la malinconia dell’assenza; è rivivere le emozioni di un passato ancora presente attraverso le immagini sbiadite della memoria.

Così il protagonista (il Lui di queste pagine) descrive le donne della sua infanzia, la distanza del padre, l’amore per Yusuf e la casa, nel quartiere Kalamış, con le sue stanze che oggi ripercorre, buie e vuote, con una dolce amarezza. Un viaggio tutto interiore per rimettere insieme frammenti di emozioni ancora vive e per dare alle cose il loro giusto significato.

“Amore. Che cos’ho imparato sull’amore? Quello che ho imparato sull’amore è che l’amore esiste. O forse, più semplicemente, quello che ho imparato e imparo sull’amore è quello che racconto nei miei film, in tutti i miei film. E cioè che non dimentichiamo mai le persone che abbiamo amato, perché rimangono sempre con noi; qualcosa le lega a noi in modo indissolubile, anche se non ci sono più”.

Un viaggio nei ricordi

Ozpetek ci spiega come in quei ricordi si annidi il germe della sua ispirazione poetica: il traghetto per Karaköy, il vecchio cinematografo Emek, con le sue poltroncine di velluto rosso; i dolci della pasticceria Baylan a Kadıköy; il glicine viola nella villa dei vicini, le kofte speziate preparate secondo la ricetta segreta dei genitori e la stazione di Haydarpaşa, sul mar di Marmara, da cui un tempo partivano i treni per “un Oriente vicinissimo”.

La Istanbul che il regista ritrova è anche quella dei giorni di Gezi park, quelli della rivoluzione di un popolo di manifestanti scesi in piazza per difendere la propria libertà.

“E poi è rosso, rosso ovunque, per tutti i giorni che seguono, freneticamente. Al ritmo delle pentole che le donne anziane con il velo battono alle finestre per dire che sì, anche loro sono d’accordo, stanno dalla parte dei manifestanti. E’ rosso per i garofani scarlatti che i manifestanti portano per strada, che offrono ai militari: segno di pace, di rivoluzione, di resistenza”.

Così racconta l’altra protagonista del libro, Anna (la Lei di queste pagine). Un viaggio, il suo, che improvvisamente prenderà una direzione e un significato tutti nuovi, alla scoperta di una città che non ha paura di esistere. Travolta dagli eventi dei giorni della protesta, la donna in fuga incrocerà la strada del regista per ritrovare con lui il senso delle parole.

“E’ facile scomparire e far finta di non esserci, sedersi per terra in un angolo, sui gradini della terrazza, dimenticare vassoio, bicchieri, invitati, pensare solo al profumo dei tigli, alla luna sul Bosforo.”

Istanbul è la protagonista

La Istanbul di queste pagine ha l’intensità della voce di chi la conosce e l’ha vissuta davvero, di chi sa guardarla con lo sguardo di un tempo, di chi si sente turco anche a migliaia di chilometri di distanza e di chi assiste fiero al coraggio di una ferma resistenza alle forzature di un’orribile globalizzazione.

E’ la Istanbul “di chi sta cercando di distruggere parchi e vecchie ville per far posto a hotel di lusso e shopping center; della paura diffusa fra la gente di un’islamizzazione sorda e autoritaria; della voglia degli studenti di resistere, della loro protesta, anche solo attraverso un graffito colorato dipinto sui muri”.

Rosso Istanbul ci parla di una città che nella sua straordinaria ecletticità e modernità sa proteggere le tradizioni e il significato delle cose. E’ un omaggio al viaggio, ai ricordi, alle partenze e ai non ritorni, alla nostalgia del passato che non se n’è mai andato.

Le parole di Ferzan Ozpetek scivolano in un flusso narrativo che procede sapientemente attraverso luoghi familiari. Un romanzo breve che ha tutto il sapore di una dichiarazione d’amore. Tra realtà e finzione il regista de Le fate ignoranti e di Saturno contro – solo per citarne alcuni – ci conduce per mano tra le vie di Istanbul, svelandoci i segreti di una città che, a distanza di anni, continua ancora a stupirlo.

Il film

Il film di tutti coloro che hanno vissuto questa città e che nonostante tutto continuano a tenerla viva.”

Così Ferzan Ozpetek definisce la sua ultima pellicola e mai descrizione avrebbe potuto toccarci più da vicino.

Rosso Istanbul uscirà nelle sale italiane il 2 marzo 2017 ed è ispirato all’omonimo romanzo parzialmente autobiografico di Ferzan Ozpetek, che torna a girare nella sua città natale dopo esattamente 20 anni e dopo molti successi raccolti in Italia.

Il film a livello narrativo si discosta dal romanzo in modo da rendere la trama più efficace dal punto di vista cinematografico, ma rimangono i temi centrali: il ritorno a casa, il viaggio emotivo, la nostalgia. Ed ovviamente Istanbul, che come lascia intendere il titolo, è la protagonista principale.

Non solo i colori e le atmosfere di questa città, che peraltro a dispetto del rosso che la identifica possono diventare spesso cupe, ma perfino i suoni ed i rumori di Istanbul, tanto che il regista ha volutamente limitato le musiche all’interno del film per dare risalto alla multiforme colonna sonora prodotta dalla città stessa.

Una pellicola quindi imperdibile per gli amanti di Istanbul, la cui visione ci auguriamo possa risvegliare l’interesse che gli italiani hanno sempre avuto nei suoı confronti.


Sulla sicurezza in Turchia e sul giornalismo italiano

Aggiornamento Marzo 2018: Per maggiori informazioni circa la situazione attuale relativa alla sicurezza ad Istanbul rimandiamo al seguente nostro articolo: Turismo in Turchia: la situazione nel 2018

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Il seguente articolo scritto nel 2015 si riferiva alla situazione della sicurezza in Turchia di quel periodo:

Continuiamo a ricevere molte mail di persone che ci chiedono aggiornamenti riguardo la sicurezza in Turchia e la situazione ad Istanbul, a seguito degli episodi di terrorismo che si sono verificati ad inizio aprile 2015.

Abbiamo deciso di scrivere un articolo perché non riusciamo più a sopportare il livello di approssimazione con cui vengono fornite le notizie dai media italiani.

Sappiamo bene che spesso si è costretti a semplificare e a condensare notizie in pochi minuti di telegiornale o nelle poche righe di un articolo. Ma questa volta si è superato ogni limite, mischiando vari episodi che non avevano nessun collegamento fra loro, riferendo notizie false, imprecise e non verificate, con il risultato di creare enorme confusione e di produrre un clima di allarmismo totalmente ingiustificato.

L’immagine del magistrato con la pistola alla testa all’interno del tribunale, poi rimasto ucciso durante il blitz della polizia, ha certamente colpito tutti. Ma si è trattato di un episodio isolato, compiuto da esponenti del DHKP/C, un gruppo di estrema sinistra molto marginale, non strutturato, che ha sempre avuto come obiettivi esponenti dello Stato e delle forze dell’ordine. Il giorno seguente, una ragazza legata allo stesso gruppo, è stata freddata dalle guardie mentre si avvicinava armata nei pressi della Questura di Istanbul. In entrambi i casi gli avvenimenti si sono svolti in zone non turistiche della città. Questi sono i fatti.

L’immagine descritta dai media italiani è stata però ben diversa. Altri episodi come il black-out elettrico, falsi allarmi bomba sugli aerei della Turkish Airlines (allarmi del genere sono all’ordine del giorno in tutto il mondo e per tutte le compagnie aeree), sono stati messi in mezzo senza che ci fosse il minimo collegamento. Il blocco momentaneo di alcuni social network è durato solo poche ore, il tempo necessario a rimuovere le foto dell’attentato, ma a distanza di giorni le persone ancora ci chiedono via mail se in Turchia “funziona internet”.

C’è stata una sovraesposizione di notizie riguardanti la Turchia che mai si era verificata in passato.

La Turchia storicamente è stata sempre teatro di episodi del genere, ha sempre fronteggiato vari tipi di terrorismo, di sinistra, di destra, islamico, curdo, armeno. E’ un Paese purtroppo abituato a queste cose. Per una persona che vive qui, per chi si interessa alle dinamiche del Paese, per chi conosce la storia turca e la situazione politico/sociale, il livello di attenzione dedicato dai media italiani a tali avvenimenti è risultato del tutto fuori luogo, non trattandosi di eventi eccezionali.

Fare un minestrone di notizie, titolare “Turchia sotto attacco”, confezionare servizi di telegiornale mandando in onda immagini di repertorio con le proteste di piazza Taksim di tre anni fa, inserire i fatti accaduti in un generalizzato clima di terrore internazionale, lasciare quasi intendere che la Turchia sia un Paese sull’orlo di una guerra civile, non costituiscono sicuramente esempi di buon giornalismo.

Bisogna peraltro chiedersi per quale ragione questo cortocircuito dell’informazione sia avvenuto solo in Italia. In altri Paesi non è stato così. Duole constatare che l’unico motivo in grado di spiegare una copertura così sciatta dell’accaduto sia il livello scadente del giornalismo italiano.

Informazioni distorte, pochissime analisi serie, nulli gli approfondimenti e le spiegazioni della situazione generale. D’altra parte non ci si deve meravigliare: la sede Rai di Istanbul è stata chiusa nel 2012. Le versioni online dei quotidiani più letti sono invece nelle mani di giovani stagisti sottopagati, che spesso si limitano a copiare i lanci di agenzia cambiando qualche parola per rendere la notizia più “cliccabile”.

Un problema che ha radici profonde e non nasce certo oggi. Da sempre l’informazione italiana è italocentrica, provinciale. Non viene mai dedicato il giusto spazio agli esteri, neanche sulla carta stampata, si parla solo di questioni interne, di cronaca, i talk show di approfondimento in tv rappresentano puramente un ozioso teatrino per politicanti.

Il risultato è che a seguito di eventi di un certo tipo la gente non possiede le basi per contestualizzarli, manca il substrato di conoscenze che permetterebbe un’analisi autonoma degli avvenimenti. In sostanza, manca cultura.

Le conseguenze di tutto ciò sono normali, gravi per chi come noi lavora nel turismo, anche se ovviamente sono fatti nostri. Ma credo sia giusto per tutti riflettere su questi argomenti. In un’era globalizzata come la nostra l’informazione ha responsabilità sempre maggiori, incide sulle nostre scelte, determina le nostre vite.

Non ci dovrebbe quindi essere bisogno di ripetere che in Turchia e ad Istanbul non c’è alcun problema di sicurezza generale, che la situazione in città è del tutto normale, che gli episodi sono stati isolati e che in ogni caso l’obiettivo di questi attentati era costituito da rappresentanti dello Stato e non da gente comune.

Non dovrebbe esserci bisogno di ripeterlo ma siamo costretti a farlo.

Perché nei giorni scorsi la città era piena di turisti francesi, spagnoli, tedeschi, mentre migliaia di italiani terrorizzati dalle notizie hanno rinunciato al viaggio all’ultimo momento, con le valigie già pronte, rimettendoci biglietti aerei e prenotazioni d’hotel, salvo pentirsi il giorno dopo. Perché si sta registrando il record di prenotazioni di turisti russi sulle coste turche, mentre gli italiani hanno addirittura paura di scendere dalle crociere.

Il terrorismo islamico legato all’Isis può colpire dovunque, ha colpito in Francia, in Danimarca, in Tunisia, e può colpire in Italia così come in Turchia. Da quel punto di vista Milano, Roma e Istanbul condividono gli stessi rischi.

Gli episodi di aprile non hanno nulla a che vedere con tutto ciò, sarebbe come se a seguito dell’omicidio di Marco Biagi da parte delle Brigate Rosse, si fosse ritenuta Bologna una città pericolosa.

 


Capodanno 2014 ad Istanbul

IMPORTANTE: Se siete arrivati qui cercando informazioni riguardo il Capodanno 2015 vi consigliamo di leggere il nostro nuovo articolo. E’ comunque opportuno leggere anche l’articolo qui sotto dell’anno scorso ed anche quelli degli anni passati, dato che i consigli rimangono in gran parte validi. Per il resto fate un giro in tutte le sezioni del nostro blog, in cui potete trovare mille consigli utili su come organizzare il vostro soggiorno a Istanbul.

Anche quest’anno, con puntualità sempre intorno al 10 dicembre, siamo qui per fornire i consigli su come passare la notte di capodanno ad Istanbul. E’ già da quattro anni che ogni dicembre scriviamo un articolo al riguardo, quindi vi consigliamo di leggere anche gli articoli del 2011, 2012 e 2013 sia per le informazioni di carattere generale, sia perché le segnalazioni fatte in passato (anche se non ripetute) rimangono in gran parte valide.

Sono moltissimi i turisti italiani che arrivano in città per le vacanze natalizie, sia nella settimana di Natale che in quella di Capodanno. Ricordiamo che sul nostro blog si trovano tutte le possibili informazioni utili per il soggiorno a Istanbul, non fermatevi quindi alla lettura di questo articolo ma continuate ad esplorare le varie sezioni!

Ripetiamo alcuni consigli utili di ordine generale sul Capodanno ad Istanbul già trattati negli anni scorsi, vi invitiamo ad avere le idee ben chiare sul tipo di locale che state cercando, per evitare di finire in un posto che non è di proprio gusto.

 Se siete alla ricerca di un buon ristorante, in cui semplicemente si mangia bene, si spende il giusto, e non siete interessati a spettacoli, divertimento o panorami, allora vi basterà leggere i nostri articoli dedicati ai ristoranti in generale, sicuri di non sbagliare.

 Se invece siete interessati a panorami sul Bosforo, divertimenti e show di vario tipo, avrete l’imbarazzo della scelta, sapendo però che i prezzi sono alti e la qualità della cena, naturalmente, non sarà elevata. E’ una serata in cui tutti i locali sfruttano l’afflusso dei turisti per gonfiare i prezzi.

 Se, come la maggior parte, state cercando un “posto con cucina tipica, in cui non si spenda una follia, con panorama sul Bosforo e magari anche musica dal vivo”, sappiate che questo locale NON ESISTE, quindi dimenticatevi della opzione in questione e concentratevi sulle prime due…

 Non bisogna dimenticare che questa notte in Turchia si festeggia in una maniera che subisce più del solito influenze occidentali, quindi anche nei menu fanno la loro comparsa piatti di derivazione americana, francese e italiana, con esiti spesso discutibili.

Tutti i ristoranti che consigliamo hanno una qualità medio-alta. Abbiamo inserito ristoranti che oltre alla cena prevedano anche una parte di spettacoli e musica dato che questa è la richiesta principale che abbiamo riscontrato negli anni da parte dei turisti. I prezzi si intendono tutti con bevande alcoliche senza limiti comprese nel prezzo, se non specificato il contrario.

Quasi tutti i locali richiedono un pagamento anticipato a seguito della prenotazione. Se non potete provvedere alla prenotazione in maniera autonoma e avete bisogno di una prenotazione, sappiate quindi che è necessario il pagamento anticipato, a cui bisogna aggiungere le spese bancarie di bonifico ed una commissione per il nostro servizio. Potete contattarci al nostro indirizzo mail.

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La Biennale di Istanbul

Mai come l’edizione di quest’anno (14 settembre-20 ottobre) la Biennale di Istanbul, giunta alla sua tredicesima edizione, assumerà connotazioni legate fortemente all’attualità e ai fenomeni sociali e politici che stanno attraversando la Turchia. Affermare, come ha fatto qualche improvvisato critico dell’ultima ora, che l’arte non è politica, soprattutto qui a Istanbul, e soprattutto dopo l’estate di fuoco seguita alle proteste di Gezi Parkı, significa essere rimasti ai tempi di Luigi XVI.

Come annunciato dalla curatrice Fulya Erdemci l’8 gennaio (in tempi apparentemente non sospetti, anche se la data fa riflettere sul fatto che la società civile già da tempo stesse covando malessere nei confronti del governo per i continui abusi urbani e culturali messi in atto nel Paese), in una conferenza stampa che si è tenuta presso il Campus Maçka dell’Università ITU Istanbul, il titolo della 13a Biennale di Istanbul sarà: “Mamma, io sono un barbaro?” Riferendosi al libro, dal titolo omonimo, del poeta Lale Müldür.

Alla conferenza stampa di inizio anno la curatrice Fulya Erdemci dichiarò che al centro della Biennale sarebbe dovuto essere il concetto di spazio pubblico inteso come forum politico. Questa idea, fortemente contestata dall’autoritarismo governativo, servirà, secondo le parole della curatrice, da matrice per generare idee e sviluppare pratiche che mettano in discussione le forme contemporanee della democrazia, sfidare i modelli attuali della politica economica, ed evidenziare il ruolo dell’arte in questo contesto.

Mettere in discussione lo stesso concetto di “barbaro”, è oggi più che mai attuale, dopo che il Primo Ministro ha usato la parola “çapulcu“ (teppista, vandalo, saccheggiatore) per identificare quella parte del suo popolo colpevole di protestare per la salvaguardia di Gezi Parkı, e dopo la trasformazione della stessa parola da parte dei manifestanti che le hanno donato nuova forza creativa, utilizzandola come sberleffo e presa in giro. L’arte deve essere in grado di dare spazio a nuove soggettività, anche se queste non vanno bene ai poteri dominanti. L’arte deve essere in grado di dare voce a chi non ce l’ha, ai diversi, ai deviati, ai deboli, ai pazzi. La tredicesima Biennale di Istanbul avrà anche questo scopo. Per questo motivo fra gli 88 artisti ospiti della Biennale si è dato maggiore spazio a quelli provenienti da realtà geografiche solitamente meno privilegiate, quali ad esempio il Sud-America, il Nord Africa, il Medio Oriente, ed ovviamente la Turchia con ben 15 artisti.

Come dichiarato sempre dalla curatrice il 9 giugno di quest’anno: “Il movimento di resistenza che ha avuto inizio con lo sradicamento di un albero a Gezi Parkı il 27 maggio, il conseguente attacco brutale della polizia e l’incendio delle tende degli attivisti, si sta evolvendo a livello nazionale. Una grande dimostrazione di solidarietà. Questo movimento giovanile e pacifico, che immagina e vorrebbe realizzare una società diversa, che ha una visione del mondo onesta e aperta, è un movimento che deve essere di esempio per tutti noi. Gli artisti stanno imparando e continueranno a imparare da questa protesta.”

In conformità con il concetto base della Biennale, inizialmente l’idea era quella di utilizzare edifici e spazi pubblici come sedi espositive: tribunali, scuole, strutture militari, uffici postali, stazioni ferroviarie, ex siti industriali, magazzini, cantieri navali, piazze e parchi, ma in seguito ai fatti di giugno si è deciso di cambiare direzione. I curatori infatti non hanno voluto chiedere il permesso per l’utilizzo di spazi pubblici a quelle stesse autorità che hanno soppresso con la violenza manifestazioni di dissenso in difesa di quegli stessi spazi pubblici.

I luoghi che ospiteranno la Biennale saranno dunque solo cinque: Antrepo no.3 a Tophane, la Scuola elementare Greca di Galata, le gallerie ARTER e SALT a Istiklal, la galleria 5533 a Unkapanı. La lista degli 88 artisti partecipanti sarà comunicata solo durante la cerimonia di apertura, per enfatizzare l’integrità dell’esposizione e per non fare in modo che vengano puntati i riflettori solo sugli artisti più celebri.

La Biennale di Istanbul si svolge dal 1987 ed è considerata come una delle biennali più prestigiose al pari di quella di Venezia, Sao Paolo e Sydney, preferisce un modello espositivo che consente un dialogo tra artisti e pubblico attraverso il lavoro degli artisti, invece di un modello nazionale di rappresentanza. E’ organizzata dalla fondazione IKSV ed è sponsorizzata da Koç Holding.

Importante sottolineare che l’ingresso è totalmente gratuito, volendo rimanere fedeli ad una visione di spazio pubblico che consente a tutti la massima accessibilità. Per maggiori informazioni consigliamo di consultare il sito ufficiale.